Wednesday, May 15, 2013

La fotografia di matrimonio e la sua evoluzione (prima parte)

di Gianfranco Catullo

La fotografia di matrimonio ha origini piuttosto antiche. Difficile fissare una data, e ancora più difficile individuare il primo fotografo matrimonialista della storia. Convenzionalmente il primo matrimonio fotografato in maniera ufficiale è quello della regina Vittoria d’Inghilterra e del principe Alberto nel 1840, ma nulla esclude che ci fossero già  stati esperimenti di ripresa intorno al 1820, seppure molto meno illustri. 

La fotografia infatti, almeno inizialmente, era affare da ricchi. Non dimentichiamoci che fino alla prima metà del secolo scorso la presenza di fotografie  negli scaffali delle credenze era piuttosto rara e riguardava soltanto eventi importanti come la partenza per il servizio di leva o la foto di famiglia, sempre rigorosamente in posa e caratterizzata da atmosfere austere e
poco naturali. 



Ma cosa avveniva prima dell’invenzione della fotografia? Compiendo un balzo indietro nel tempo non possiamo non menzionare la pittura e la scultura, le sole tecniche visive esistenti adatte a ritrarre eventi eccezionali. Ma perché fotografare un matrimonio?


In generale, per ricordare un evento importante e non ripetibile, ma anche per mostrare qualcosa che mettesse in risalto il proprio status sociale e potesse renderlo noto agli altri. Nel corso degli anni la fotografia di matrimonio si è evoluta di pari passo con l’evoluzione tecnologica, e questo ha permesso la nascita di nuove forme  espressive che hanno portato alla saturazione e al parziale abbandono delle precedenti. 

Ma partiamo dall’inizio. Le prime fotografie costituivano dei veri e propri documenti storici: sposi rigorosamente in posa, rigidissimi e senza sorriso riempivano un set composto da drappi e fondali contornati da elementi architettonici dell'epoca. Questo essenzialmente per due motivi:

1) La tecnica fotografica ancora "acerba", inevitabilmente condizionata dai lenti tempi di scatto. Si era infatti costretti a rimanere immobili per evitare il mosso e spesso gli occhi dei soggetti venivano dipinti a mano sulla stampa per ottenere un risultato adeguatamente realistico.
2) Le regole comportamentali, che imponevano nella maggior parte dei casi l’occultazione dei sentimenti. Erano quindi bandite pose spontanee, sorrisi e qualsiasi gesto estraneo alla pubblica decenza tipica del periodo.

Successivamente, grazie all’invenzione del flash, le pose si sono finalmente “sciolte” e con la produzione in grande serie di apparecchiature fotografiche il numero di eventi ripresi è stato sempre maggiore. Anche le pose dei soggetti si sono pian piano evolute (e fortunatamente anche le regole della socialità) diventando sempre più naturali ed esteticamente appetibili.  Tralasciando le primissime macchine fotografiche degli ultimi anni dell'Ottocento, l’attrezzatura tipica del fotografo matrimonialista, nell’era della pellicola analogica, era composta da una macchina di "medio formato" corredata da una, al massimo due ottiche ed un flash.


La svedese Hasselblad, in particolare, riuscì a rivoluzionare il modo di fotografare, garantendo una sufficiente maneggevolezza ed una qualità d’immagine senza compromessi. Subito dopo è stata la volta del "piccolo formato" che ha inaugurato la diffusione delle prime fotocamere reflex: a fronte di una certa perdita di definizione nelle stampe di grandi dimensioni, ha regalato una comodità d’uso ancora maggiore, trasportabilità estrema e la possibilità di utilizzare un gran numero di ottiche dedicate. Oggi, nonostante l'indiscussa qualità, quasi nessun fotografo adopera il medio formato (digitale o analogico che sia) per fotografare i matrimoni, dato che la moderna reflex digitale comporta un gran numero di  vantaggi riuscendo a migliorare ogni aspetto tecnico dei suoi predecessori.

Ma gli stili? Tassonomizzare in maniera rigorosa gli innumerevoli stili fotografici risulterebbe pressoché impossibile, dunque mi limiterò a citare i due che ritengo più significativi e maggiormente inclusivi.

- Lo stile classico, definito in maniera generica  “ritrattistico” o “in posa”, prevede chiaramente che gli sposi rivolgano lo sguardo verso l’obiettivo, che sorridano o comunque assumano posture ed espressioni indotte e non sempre naturali. Anche gli invitati, o più spesso i gruppi di invitati, sono fotografati secondo le stesse modalità. In generale l'evoluzione di questa tecnica, se ben eseguita, permette di ottenere oggi risultati artistici di alto livello. N.B. Una piccola precisazione: l'espressione “non naturale” in questo contesto non è intesa secondo un’accezione negativa ma semplicemente come una caratteristica.
- Lo stile “fotogiornalistico”, (denominato  spesso “reportage”, o più impropriamente “non in posa”), contempla le tecniche di ripresa omonime che permettono di fotografare il matrimonio in tutte le sue naturali sfaccettature filtrate talvolta dalla vena creativa del fotografo che ne accentua alcuni tratti. Gli invitati  sono ripresi in gruppo o individualmente, ma sempre durante lo svolgimento di un’azione significativa. Se considerassimo invece una narrazione senza pose ma rigorosamente oggettiva saremmo in presenza di fotografia documentaristica.
Di queste due grandi macrocategorie parleremo più diffusamente nei prossimi articoli.



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